Lettera sullo sguardo esterno

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Caro amico,

ormai da tempo sono una siciliana che guarda la sua terra da lontano. Da lontano sia in termini di spazio fisico che di spazio mentale. Provo spesso a capire quali sentimenti io abbia per il luogo in cui sono nata e, per cercare di metterli in ordine, a volte, mi rifugio nelle descrizioni che della Sicilia hanno dato i visitatori stranieri, e cerco così di capire quanto anche io sia diventata estranea a quel mondo che pure è parte di me.

Ho provato a raccontare la Sicilia vista da fuori in  un articolo dal titolo Così lontana, così vicina, apparso su “Notabilis” (anno VII, n. 5, settembre-ottobre 2016). Spero ti faccia piacere leggerlo.

Devotamente

EEA

 

 

«Il clima è temperato, l’aria dolcissima, l’isola fertile, il tempio assai più bello di quanto se ne dica.» Così esordisce Cleomene nella prima scena del terzo atto di Winter’s Tale, la tragicommedia del 1611 in cui Shakespeare torna a parlare di Sicilia a qualche anno di distanza da Much ado about nothing, composta tra l’estate del 1598 e la primavera del 1599 e ambientata a Messina.

La frase credo che possa descrivere interamente lo stupore provato da quanti, nei secoli, sono giunti per la prima volta in Sicilia affrontando viaggi più o meno lunghi o difficoltosi.

Il numero di viaggiatori che a partire dalla metà del Settecento (prima di allora la Sicilia era generalmente poco visitata) sono approdati alle nostre coste, è molto alto. Tra questi nomi notissimi, da Vivant Denon a Goethe, che compaiono, tra gli altri, nel bel volume di Hélène Tuzet, Viaggiatori stranieri in Sicilia nel XVIII secolo (Sellerio, 1988). Molti di loro – turisti culturali, si direbbe oggi – passarono lo Stretto di Messina come tappa finale di un tour alla scoperta delle bellezze della Penisola.

Non è inutile domandarsi oggi se, al di là della fascinazione dell’Isola, del gusto esotico del paesaggio e dello studio di usi e costumi, a colpire lo straniero non potesse essere anche la scoperta di una terra che, raccogliendo in sé i fremiti delle culture mediterranee, era in grado di restituirle in qualche modo arricchite di un portato che è tipico della Sicilia e dunque unico.

Come altri, alle antichità greche e romane presenti nell’Isola si interessò il barone di Riedesel, ospite in Sicilia nel 1767 e autore di un resoconto indirizzato sotto forma di lettere a Winckelmann. Ma una sorta di modello per tutti i successivi racconti di viaggio fu quello di Patrick Brydone. Alle sue potenti descrizioni dell’Etna, delle albe e dei tramonti sulla montagna, della flora e della fauna, si deve anche la vera e propria introduzione del vulcano siciliano nel panorama letterario europeo.

Ci fu poi chi, come il conte di Broch, si occupò più dell’aspetto scientifico nell’osservazione dei fenomeni naturali e chi, di contro, come Henry Swiburne, fornì deliziosi quadri non solo della società palermitana ma anche di centri meno frequentati, come Alcamo, Sciacca, Ribera o Calatafimi, sui cui interni si dilunga nella descrizione degli usi e nella dettagliata rappresentazione degli arredi.

Curioso del popolo e della saggezza antica della quale è latore fu Roland de la Platière. Frequentando le bettole nelle città sicule, i porti e le campagne dell’entroterra, con estrema arguzia colse ogni minimo dettaglio fornendo schizzi assai esaustivi dei costumi locali.

Se i viaggiatori più noti dell’epoca restano Goethe e Jean Houël – protagonista questo di un tour di quattro anni durante i quali dipinse di tutto, dalle scene di vita campestre alle antichità archeologiche, dai fenomeni naturali alle feste religiose – non si può tacere come, nei secoli successivi, all’abitudine del viaggio in Sicilia si aggiunse il piacere del soggiorno di quanti, stranieri, decisero di fare dell’Isola la loro patria d’elezione. Tra questi, il barone Wilhelm von Glöden, che abitò a Taormina dal 1878 fino alla morte (16 febbraio 1931) per curare un male ai polmoni. Fotografo esperto e di grande sensibilità, il tedesco, da una parte venne incontro ai gusti del pubblico dedicandosi alla raffigurazione di paesaggi tipici e di scene campestri o marinare, dall’altra fu cronista, documentando il terremoto di Messina del 1908; ma, con i suoi celeberrimi nudi maschili, afferrò interamente non solo il fascino sensuale dell’isola che lo ospitava ma anche il carico di suggestioni che la stratificazione delle culture del passato avevano lasciato in quella terra.

I giovani dall’aspetto cavaraggesco di Glöden, ritratti integralmente nudi o coperti di pepli alla maniera greca, rappresentano oggi una delle più genuine e colte testimonianze della maniera in cui uno straniero può restare conquistato dalla Sicilia. Fissati in un tempo senza tempo, en plein air, in prossimità di rovine, su rupi, accanto ad anfore e colonne, i giovinetti del tedesco, come lui stesso scrisse nel 1898, nascono dalla prepotenza con cui “le forme greche” fanno appello all’artista e chiedono di essere resuscitate nella fotografia.

Come un continente a parte, dunque, la Sicilia raccoglie le eredità dei popoli che l’hanno attraversata e abitata, in essa confluiscono gli afflati delle culture mediterranee che, rilette e rivissute all’interno dell’sola, vengono restituite al viaggiatore, nuove e potenti.

Al di là dello Stretto, quella Sicilia che si vede dalle coste della Calabria, appare un mondo a parte, un triangolo di terra in balia delle acque che lo avvicinano pericolosamente all’Africa con i cui abitanti condivide geni e culture. Anche se chiuso, lo spazio di terra circondato dal mare, cui giungono profumi e sapori maghrebini, è aperto e desideroso di accogliere, per effetto del contrasto tra l’afflato centripeto e quello centrifugo. L’uno, infatti, spinge l’isolano a ripiegarsi sulle proprie tradizioni, orgoglioso e timoroso quasi di perderle in un ennesimo fondersi con culture altre; l’altro, lo apre al nuovo e al diverso, lo rende curioso. La Sicilia così, come diceva Gesualdo Bufalino, «fa da cerniera ai secoli fra la grande cultura occidentale e le tentazioni del deserto e del sole, tra la ragione e la magia, le temperie del sentimento e le canicole della passione» e scampa al pericolo di non avere un’identità possedendone molte e tutte compenetrate, pronte per essere offerte al visitatore.