Nello stesso cortile

IMG_2991

Cresciuti nello stesso cortile, quello che abbiamo vissuto, per un attimo, è passato davanti ai miei occhi.
L’estate del Novanta la trascorremmo in vespa alla ricerca del passaggio perfetto per la spiaggia del Baco, senza passare davanti al negozio dei tuoi genitori né alle strade che ogni giorno mio padre percorreva per andare in fabbrica.
Uno scorrere di anni veloci ci ha posti ai due estremi della bilancia, io preoccupato di trovare un lavoro sicuro, che mi permettesse di mantenere più o meno fermi i traballanti equilibri familiari, tu dietro i tuoi ideali, sempre più lontani, senza certezze e legami.
Ora sei qui, amico mio. Ma io contro di te mai.
Sara Peirano

Ieri e oggi

thumbnail

 

Ieri
Viaggio verso la libertà, verso la vita, accanto a compagni ridotti pelle e ossa. Ho la visione angosciante di tutti i morti senza età, senza nome e privi di affetti, quelli che i militari libici mi costringevano a mettere nei sacchi.
Il mio terrore era quello di finire anche io dentro un sacco, trasportato da un camion fino a una fossa comune nel deserto.
Vedo la costa italiana sempre più  vicina. Appena sceso urlerò il mio nome: Hamed!
Oggi
Affondato un barcone al largo di Lampedusa con 310 migranti, nessun superstite.
Marisa Chianura
(foto di Fabrizio Villa http://www.fabriziovilla.it/)

Passato prossimo

Cattura

 

Me la ricordo la fatica di dover lavare tutta quella biancheria nelle tinozze di legno. I geloni alle mani per l’acqua freddissima e il mal di schiena a stare per ore e ore chinata, come se fossi ai blocchi di partenza di una gara di velocità. Mi ricordo mia sorella accanto a me e il sollievo nel poter scambiare due parole con lei,  il suo sorriso appena abbozzato che mi dava coraggio per arrivare a fine giornata. Anche la nostra stanchezza, ricordo. Ma che allora fossi tanto giovane e bella, con quella massa di capelli scuri, quello no, non lo ricordavo.

Roberta Cospito

Lezione di zumba

Immagine1

Adesso non le importava più di tutta la rabbia che aveva provato. Venivano a insegnare zumba, chi con un certo entusiasmo, chi meno. Così pure pilates e yoga. E, prima o poi, tradivano un sorriso.

Lo capiva bene che lei e le sue compagne erano ridicole e malinconiche al tempo stesso. Però non le era venuta meno la determinazione e non aveva mai saltato una seduta. Adesso a casa se la rideva di gusto, pensava alla rabbia che dovevano provare suo figlio e sua nuora.

Allenata com’era il muro era riuscita a scavalcarlo facilmente: quei due non si sarebbero liberati di lei rinchiudendola in una casa di cura!

Paolo Schiavi

Villa Ridente

Cattura

 

La chiamavano Villa Ridente ma cosa ci fosse da ridere in una palazzina grigia alla periferia di Mestre, che puzzava di disinfettante e vite polverose, non l’avevano mai capito. Forse per questo amavano i colori. Quella mattina però quando, con il cuore in tumulto, erano sgusciate fuori in silenzio, l’alba era grigia e Venezia non così bella come la ricordavano. La pioggia le aveva inzuppate di dubbi, ma quel pomeriggio, in piazza San Marco, all’improvviso compresero di aver fatto la scelta giusta: sarebbe arrivato. E mentre guardavano ansiose verso le Mercerie, eccolo. Bello, elegante, splendente come sempre. L’arcobaleno.

Maura Fortunati

 

 

Il giorno dopo

16996158_614025478781481_8335736972737145168_n

 

Apro con questo romanzo in cento parole di Victoria Lauri, una serie di interventi redatti dai partecipanti al workshop “Il racconto fotografico”, organizzato a Savona dalla Compagnia dei Lettori e dalla Feltrinelli Point di Paolo Schiavi, grazie soprattutto all’instancabile e preziosa Alessandra Bruno.

Ai partecipanti avevo richiesto un romanzo in cento parole basato su un’immagine assegnata della quale non è stata fornita alcuna informazione né sull’autore, né sull’epoca, né sul luogo. Quella assegnata a Victoria Lauri è una fotografia di Maria Pia Stissi, scattata a Parigi.

 

Era l’alba, Michel percorreva le strade tranquille ripensando all’orrore vissuto la sera prima. In quelle ore aveva stabilito di tornare a vivere in Borgogna. Quando arrivò nella piazza notò che gli abitanti del quartiere, silenziosamente, contribuivano a ripulirla, raccogliendo gli oggetti abbandonati e i cocci di vetro. Rimase immobile qualche minuto ad osservare la scena, poi cominciò ad aiutare. Terminate le operazioni di pulizia, si avvicinò alla sua brasserie, accendendo la luce esterna,  capì che voleva rimanere e riaprire la sua attività. Si sentiva meno solo, non aveva  più paura: aveva sconfitto i terroristi.

Victoria Lauri

 

Lungo la strada

demone

Arriva in extremis il romanzo dell’orrore in cento parole di Francesco Marrapodi.

“Perché mi hai salvato Frederich? Perché non hai proseguito per la tua strada? Ora, purtroppo, non mi lasci altra scelta: dovrò ucciderti. E non mi guardare in quel modo. Tanto non riuscirai a farmi cambiare idea! E non te ne venire con la solita storia della famiglia, per carità!, o dei figli da mantenere. Lo so che ti sei prodigato a salvare una vita. La mia. Lo so. Ma devi, caro Frederich, è proprio questo il punto! Se, invece, avessi proseguito per la tua strada, a quest’ora, io sarei morto e tu vivo. Mi dispiace Frederich, addio!”

E così dicendo, con un colpo secco, recise di netto la carotide di Frederich. Questi furono gli ultimi attimi del buon samaritano che ha avuto la sfortuna d’incrociare la strada del Maligno.

Francesco Marrapodi

Mortoggiaiu

paura-634x396

Eliano Cau e il suo romanzo in cento parole!

Non ho paura della paura, ho sempre avuto paura della vita. Da qualche tempo mi succedeva una cosa strana: vedevo chi sarebbe morto entro breve. Non lo dissi a nessuno, solo a un saggio che sapeva di stelle e inferno, di nuvole e sole. Vedevo una croce sulla testa di chi sarebbe volato via, una croce di fuoco che nessun altro vedeva. E quello trapassava. Provavo un dolore senza fine a vedere che il poveretto di turno moriva davvero, e l’impossibilità a cancellare l’odiosa virtù che mi dava spasimi atroci. Sognai una voce che mi disse: “Smetterai di vedere la morte degli altri e vedrai solo la tua”. Ne morii.

Eliano Cau

 

 

La carne

c24812af4140eb6b0ccdd3fa1e7d769c

E ora tremate! Ecco il mio di romanzo dell’orrore in cento parole.

Guardò i resti sanguinolenti: un frammento di osso, fibre di muscolo. Un moto di stupore la colse. Era possibile che fosse riuscita da sola a far tanto? Aveva sempre pensato che non ce l’avrebbe mai fatta. Ma era stata la rabbia a guidarla, nient’altro. Rabbia e determinazione. Ancora una volta lui l’aveva delusa e lei non l’aveva sopportato.

Allungò la mano verso un bicchiere e lo vuotò in un fiato. Il liquido rosso e pastoso le scivolò dentro. Si sentì bene.

E al diavolo lui e la sua stupida partita di calcetto: quella sera la chianina e la bottiglia di Chianti era riuscita a farle fuori da sola.

Emanuela E. Abbadessa

Lo specchio della verità

specchio

Grazie a Salvatore Virzì!

Si svegliò di soprassalto, madido di sudore. La luce sembrava alimentare quell’occhio adagiato sul palmo della sua mano che lo fissava con sguardo imperterrito: non ammetteva repliche. Era sconvolto, non poteva credere di essere stato un carnefice, che si era accanito su quel corpo esanime. Il tempo di vita che gli rimaneva non sarebbe bastato per espiare quella tragedia di cui era parte attorea. L’aria stantia di quella stanza occhieggiava con quel giaciglio silente, riducendone le indefesse pulsazioni.

D’un tratto una voce flebile gli chiese: “Amore, non trovo la mia protesi oculare, per caso l’hai vista?”

Salvatore Virzì