Cara amica,
il giochino fatto ieri a proposito delle regole del corteggiamento, mi ha fatto riflettere più attentamente – e forse più seriamente – sulle ragioni di questa sorta di rigurgito degli anni Cinquanta.
Mi consentirai di prenderla un po’ alla lontana e provare, con leggerezza, ad osservare il fenomeno. Anche partendo da un libro se vuoi. Temo che al centro di tutto ci sia la crisi.
Ma cos’è questa crisi?, come recitava Rodolfo De Angelis in una canzonetta del ‘33. Ma se la crisi c’è tanto vale non lasciarsi scoraggiare. Sto pensando a un libro e a una donna. Una donna (e che donna), ad esempio, che di fronte alla crisi (e che crisi) si rimbocca le maniche. E che maniche, mi verrebbe voglia di dire. La crisi, tanto per essere precisi, è quella con la C maniuscola, anzi, con la G e la D, maiuscole, la Grande Depressione. La donna, per fartela breve è Mildred Pierce, protagonista dell’omonimo romanzo recentemente ristampato in brossura da Adelphi di James M. Cain, altrimenti noto come autore noir di quel tal postino che suonava sempre due volte. Ferocia è la parola d’ordine per un autore di noir, si sa. Ma come fare quando la protagonista è un angelo del focolare con due gambe mozzafiato, americana per di più, capace di preparare torte fragranti e piene di crema, dentro la sua solita vestaglietta a fiori? Semplice, basta aggiungere agli ingredienti un po’ di melò. Gli altri ingredienti? Caparbietà, un fondo di scetticismo, qualche uomo inutile e una figlia così cattiva che non sfigurerebbe tra le pagine di William Somerset Maugham. Il gioco è fatto e la bella storia della casalinga californiana diventa un voyage à l’enfer.
Pubblicato per la prima volta nel 1941, Mildred Pierce resta uno dei capolavori della narrativa statunitense e una sorta di breviario paradossale che rileva la radice malata dell’illusorio sogno americano della ricchezza individuale.
E questa è una delle premesse e, non da ultimo, un mio consiglio di lettura.
Ieri osservavamo insieme che esistono canali televisivi guardando i quali sembra di essere piombati negli anni Cinquanta: programmi che insegnano a cucinare, vestirsi, truccarsi, fare la manicure, apparecchiare la tavola, ospitare gli amici, uscire col partner… E anche le conduttrici hanno spesso questi deliziosi look anni Cinquanta. Ora, mi sembra ovvio osservare che fino a vent’anni fa una cosa del genere sarebbe stata impensabile. Le donne pensavano alla carriera e se qualcuno avesse proposto alle donne un manuale per servire in tavola o per vestirsi, come minimo, avrebbe ricevuto un coro di dissensi. Naturale, la donna di allora, forte della pillola, conquistata la libertà di divorziare e abortire ormai da diversi anni, era proiettata felicemente verso il mondo del lavoro, sebbene costretta sempre a dividersi tra obblighi familiari e carriera.
Però, se tanti programmi oggi insistono sulle mansioni domestiche, siamo autorizzati a pensare che, forse, ci troviamo in un’epoca di riflusso? Non sarebbe la prima volta e certamente non sarà l’ultima: nel 2009 Pierluigi Battista firmava su “Corriere della sera” una bella analisi in proposito http://archiviostorico.corriere.it/2009/novembre/22/1980_anno_del_Riflusso_reso_co_9_091122058.shtml.
Torno così alla mia ispiratrice, Mildred Pierce, e mi domando il perché della nuova moda. A causa della crisi economica anzitutto direi, ma anche a causa dell’invecchiamento della società. Una società fatta principalmente di anziani e adulti (il boom delle nascite degli anni Sessanta ha necessariamente portato oggi ad una popolazione che si aggira intorno ai cinquant’anni) richiede prima di tutto di rapportarsi al mondo secondo le regole delle buone maniere perché la società anziana, “adulta” se preferisci, comprende questo codice che gli è stato insegnato (poco importa se in gioventù se ne sia dimenticato). Di fronte alla crisi ci si aggrappa alle poche certezze che si hanno, ovvero il lascito familiare, le convenzioni, le regole nelle quali siamo stati cresciuti (e questo, a mio parere, spiega anche perché negli scrittori esordienti più giovani i drammi familiari siano molto presenti e, spesso, vengano sempre risolti o elaborati nelle maglie di figure di “anziani”, i nonni, ad esempio, o, in altri sensi, propongano un amore romantico, “da favola” come quelli che si presume fosse possibile vivere fino a cinquant’anni fa).
Inoltre, mancando il lavoro, si riciclano le regole delle nonne sull’economia sul riciclo del cibo, degli abiti, dei mobili vecchi: Carla Gozzi rivoluziona gli armadi delle donne che non sanno vestirsi senza invitare allo shopping nei grandi atelier ma dimostrando loro che in ogni guardaroba esistono capi da accoppiare in maniera appropriata per nuove eleganti soluzioni. Paola Marella viene in soccorso di inquilini scontenti del loro arredamento spostando semplicemente mobili e quadri, mettendo qualche pianta e un tappeto. Non sono più i tempi in cui anche la famiglia media può aspirare a un paio di pezzi di design per abbellire il soggiorno.
Non sono riflessioni secondarie, credo.
Ecco dunque da dove nasce, secondo me, l’idea di fornire di continuo consigli prontuari e decaloghi per ogni momento della giornata, dentro e fuori casa.
Il perché si ricorra poi a un passato non prossimo è semplice: la massaia degli anni Cinquanta sapeva e doveva economizzare perché non erano ancora gli anni del boom ma quelli della ricostruzione e, per di più, proveniva in linea diretta da una madre depositaria di segreti di buona amministrazione domestica ancora ottocenteschi (quelli appunto di madri nate alla fine dell’Ottocento o nei primissimi anni del Novecento). La cinquantenne di oggi è una madre che, in questo senso, non può essere presa a modello perché, in gioventù, di tutte le regole tramandate in famiglia di donna in donna, poco si interessò. Visse gli anni appunto del boom in cui la parola d’ordine era liberarsi del vecchio per acquistare il nuovo, vide le madri (sì, il nuovo avanzava e il vecchio e le vecchie regole, veniva accantonato in un brevissimo spazio di tempo) buttare i mobili dei genitori per acquistare discutibili pezzi di tek in stile svedese, caricare la lavatrice anche per pochi capi, ignara delle necessità dell’ambiente, finendo col buttare anche il proverbiale bambino con l’acqua del bagnetto.
Devotamente
EE.